Cosa è successo all’uscita del nuovo disco dei Pink Floyd

Cosa è successo all’uscita del nuovo disco dei Pink Floyd

11 novembre 2014

“Ma c’era veramente bisogno di un nuovo disco dei Pink Floyd?”

Quando trascorri quasi trenta anni “affacciata” al banco di un negozio di facce ne vedi proprio tante.  Ci vorrebbero migliaia di fogli di carta per raccogliere le storie che hai ascoltato. Peccato non averli mai scritti quei fogli, è impossibile ricordarle tutte le storie, e molti dei volti  li hai dimenticati o sono  avvolti nella nebbia. Alcuni ti sono rimasti vicini, a volte li vedi tutti i giorni. Il tuo e il loro viso, il tuo e il loro  corpo, i tuoi e i loro colori sono cambiati nello stesso arco di tempo, non hai bisogno di fare appello a ciò che resta della tua memoria per riconoscerli. Ci sono poi i volti che rivedi una volta all’anno, di solito accade nel periodo natalizio, ma in un anno è difficile che avvengano trasformazioni tali da rendere imbarazzante l’incontro. Al limite ci si guarda intorno nella speranza che qualcuno dalla memoria meno offuscata della tua ti venga in aiuto con la tattica del “ueeeeeee” o un più formale “carissimo/a”seguito dal nome della persona che ti ha salutato come se tu facessi parte della famiglia e che tu proprio non sai chi sia. Mai visto prima, ci metteresti la mano sul fuoco. Bruciandotela.

Ci sono poi alcuni volti che si riaffacciano al tuo banco soltanto quando comincia a girar voce che “I”o “Gli” o quelli che vengono chiamati confidenzialmente con il solo nome di battesimo: Eros, Claudio, Biagio, Vasco (vabbè, lui si chiama così e basta), siano sul punto di pubblicare qualcosa di nuovo. Sono i monomaniaci, quelli che hanno tutto tutto tutto di un unico artista o pseudo tale. Questi li riconosci sempre, spesso li identifichi con il nome del loro idolo e negli anni ti sei accorta che una lucina si accende negli occhi della persona alla quale ti rivolgi chiamandolo “Bruce”,  “Elvis”  “John” ”Paul” “Lou”, o molto più prosaicamente “Vasco”.  Il copione è più o meno sempre lo stesso, nuovo di!” “Ho letto su internet” (questi sono quelli che fanno i solitamente vengono con piglio deciso, sono loro ad informarti: “ Il…esce il supertecnologici     “ Ha detto internet” (ebbene si, per alcuni internet ha il dono della parola. Mi ha twittato…”  (questi sono quelli iscritti ai fans club)”.  Ma, il copione improvvisamente non è più lo stesso. Volti emersi dalle nebbie del passato si sporgono timidamente e quasi sussurrando, increduli ti chiedono, “Ho sentito dire…“Ma pare …” “Ma è vero …” Sono turbati , nei loro occhi c’è qualcosa di particolare, non è la solita lucina, in quello sguardo c’è più di un ricordo, più di una storia. Non è nostalgia, non è rimpianto, è qualcosa di più. E’ la memoria di un’emozione. Il 7 mattina sono lì, davanti al tuo banco, questa volta per comprarlo, il disco.

Alcuni dei volti li riconosci, altri sai di averli visti in un passato non molto prossimo, in questi casi il timbro della voce è un aiuto validissimo per rintracciare nella memoria il nome  della persona che hai di fronte.  I capelli, se ci sono ancora, hanno cambiato colore o sono troppo in ordine, troppo pettinati. Sono l’ostacolo maggiore per la riconoscibilità della persona venti anni dopo.  Qui ti aiuta l’esperienza, lasci parlare loro per primi in modo da avere qualche elemento in più per l’”identificazione”. Poi ti accorgi che non hai bisogno di strategie di nessun tipo, sono loro a parlare, sono loro a dirti di quando da ragazzi venivano al negozio “poi sai, il lavoro, la famiglia, internet (mannaggia a internet )”. Poco a poco sei immersa in un mare di sensazioni, ti arriva un’onda emotiva che in anni di lavoro non hai mai percepito in maniera così forte. E qui comincia uno strano gioco, quello dell’identificazione non della persona, ma della memoria dell’emozione. In questo c’è lo sguardo da memoria di pomeriggio con amico a commentare l’uscita del disco. Qui nel volto c’è la memoria di un’emozione data da un ascolto accompagnato da piantina odorosa, qua siamo andati un po’ oltre la piantina da balcone. A questo lo sguardo lisergico gli è rimasto dagli anni ’70.

Qui c’è la memoria di un’emozione da imbranamento da ribaltabile.  Poi c’è chi ti racconta dei concerti ai quali ha assistito, ci sono quelli che hanno seguito il gruppo nel momento più alto, anche all’estero, quelli che erano a Venezia e quelli che, più modestamente, con un tono di voce meno enfatico ti dicono “Io ero a Cava dei Tirreni”. Sono quelli ai quali voglio più bene perché c’ero anch’io.  Nei giorni successivi, ancora una anomalia in quello che è il comportamento abituale del consumatore saltuario di musica, sono tornati. Sono tornati a dirti che il disco è bellissimo,  ti sono quasi riconoscenti perché grazie a te hanno ritrovato quella memoria, alcuni hanno gli occhi un po’ lucidi, parlano parlano parlano.  Si raccontano. Se c’è una cosa che ho imparato in questi anni è che la gente vuole essere ascoltata, ma non è mai successo che tante persone, anche mai viste, ti regalassero un pezzetto di anima. Si! C’era proprio bisogno di un nuovo disco dei Pink Floyd.



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