Negozi di dischi negli anni ’60 ad Avellino

Negozi di dischi negli anni ’60 ad Avellino

14 febbraio 1967, per tanti Festa degli Innamorati, per gli studenti avellinesi anche il valore aggiunto della ricorrenza di San Modestino, patrono della città, con conseguente giorno di vacanza. Il clima è tipicamente invernale, freddo-umido con pioggerellina fastidiosa ed il Corso è semideserto. Nei pressi del Cinema Giordano, due piccoli altoparlanti diffondono nell’aria le note di una struggente canzone d’amore perfettamente intonata alla giornata, al clima ed allo stato d’animo di un quasi sedicenne alle prese con la propria educazione sentimentale:”Aaa, a chi …, sorriderò,  se non a te?” si chiede Fausto Leali, con la sua potente voce da “Negro-bianco”. All’epoca in questo modo erano definiti dalle riviste specializzate i cantanti che possedevano l’invidiabile dote di una vocalità simile a quella degli interpreti di colore, senza alcuna sfumatura razzista, anzi, con una connotazione decisamente positiva.

La canzone è diffusa al di sopra della vetrina del negozio di Elettrodomestici e Dischi La Serra, il primo che si incontra “salendo” lungo la strada principale della città. I dipendenti della ditta avevano l’abitudine di stampigliare sulla copertina dei 45 giri venduti un timbro a secco: “Ditta Comm. Ettore La Serra – Radio – T.V. – Elettrodomestici – Parti staccate – Dischi.  Avellino – Corso Vitt. Eman. 50”. La dicitura è ancora perfettamente leggibile sui dischi dell’epoca ed è “Croce e Delizia” dei collezionisti locali. Da un lato infatti riduce il valore dell’oggetto, dall’altro emoziona teneramente, collocandolo in un ambito di orgogliosa nostalgia, specie se il disco è stato acquistato da chi lo possiede attualmente.

La passeggiata prosegue, sotto l’ombrello verde e sopra le mattonelle rese sempre più rosse dalla pioggia e, superata Via Dante, al civico 190 ci attende la distesa di LP della Deutsche Grammophon, fiore all’occhiello della storica ditta di Don Angelo Maietta. Anche qui piccoli elettrodomestici, lampadari, qualche televisore e sulla parete di sinistra un ragguardevole numero di espositori per 33 giri, formato essenzialmente rivolto alla musica classica. Sulla maggior parte delle riviste, a parte quelle di settore come “Musica e Dischi” o “Discografia Internazionale”, non compariva la classifica degli LP. Qualche mese dopo sarebbe stato pubblicato in Italia “Sgt. Pepper’s lonely hearts Club Band” dei Beatles, con il consueto ritardo rispetto ai mercati europei più evoluti. Fu l’album che spianò la strada al sorpasso delle vendite degli album sui singoli, inevitabile quando sulla soglia del decennio successivo psichedelia, underground e progressive imposero un ascolto più attento e riflessivo su opere di lunga durata, non riducibili a singole canzoni. Salvo rare eccezioni, fino all’abbondante metà degli anni ’60, i 33 consistevano essenzialmente in raccolte di brani già editi su piccolo formato, arricchite da pochi inediti, spesso di relativa qualità.

Da “Maietta” in fondo al locale, dietro il banco-vendita e la cassa di Don Angelo, l’alveare con i 45 giri di successo e due cartelli: una tabella di prezzi, tradizionalmente leggermente inferiori rispetto a quelli della concorrenza, ed un altro che severamente ammonisce: ”I dischi venduti non si cambiano.” Di Beat o Rhythm & Blues ce n’è poco, alla luce di un’utenza piuttosto adulta e della limitata frequentazione dei ragazzi.

Alla fine del Corso, giusto prima dell’angolo di Via De Concilij, una vetrina a giorno più invitante espone ancora la copertina di “Turn turn, turn” dei Byrds (non comprato all’epoca perché già “vecchio” e tante volte rimpianto negli anni successivi). Il negozio, “Limone”, era molto luminoso e accogliente, ma riassortiva poco e risultava alquanto decentrato. Si trovava sul marciapiedi meno frequentato, oltre il confine psicologico delle passeggiate, individuabile tra il “Colletta”, con i pensionati seduti sul muretto antistante il giardino, e la Villa Comunale, “luogo di perdizione” per le poche fortunate coppiette che avevano l’ardire di sfidare la severa disapprovazione dei benpensanti.

E’ il caso di cambiare versante e direzione. Su questo lato nessuna opportunità musicale, tranne un negozietto di articoli elettrici nell’androne di un vecchio palazzo nei pressi del Bar Cammino, con pochissimi 45 giri mal tenuti, solo brani di grande successo e dischi da “bancarella”.  Negli anni ’60 esistevano delle etichette discografiche minori che assoldavano aspiranti gruppi o cantanti affidando loro canzoni di successo che venivano pubblicate su 45 giri venduti nei mercati ad un prezzo molto inferiore rispetto a quello delle incisioni ufficiali.

Dopo la Chiesa del Rosario, vinta la tentazione della inimitabile panna del Bar Diana, si aprono le porte della Standa, con i dischi esposti nella sala d’ingresso. Magari ci si tornerà più tardi, anche per sottrarsi al freddo e rinfrancarsi con il riscaldamento sempre molto alto. Adesso ci attende la vetrinetta del negozio aperto da tre anni e nascosto nel cortile di un palazzo. Nella scarna teca di legno e vetro sorridono le copertine dei 45 più nuovi, sia italiani che stranieri. La titolare del “Disco Club 64”, la signora Concetta Rafaniello, è molto abile nel catturare le onde del gusto giovanile e non esita ad accettare consigli e suggerimenti dai suoi clienti più giovani e informati. Sa procurare i dischi in tempi molto brevi ed è molto professionale ed energica nel gestire i rappresentanti delle case discografiche. Per gli LP solo due vaschette, ma molto aggiornate, per i 45 poche copie per titolo, ma grande assortimento. E’ l’unico vero negozio di settore, esclusivamente indirizzato alla vendita di dischi. Qui la clientela è variegata e c’è anche la possibilità di scambiare idee e pareri con altri appassionati, sotto la discreta ma attenta vigilanza di colei che negli anni ’70, all’epoca delle discoteche sarà ribattezzata dai DJ in cerca di novità “Zia Concetta”. Il più bravo, Giannantonio Oliva, animatore del Club Sciarada di Mercogliano, coniò il bonario soprannome.

Si potrebbe arrivare in Piazza Libertà al numero 19 del Palazzo Sarchiola, per dare un’occhiata all’esposizione della “Casa della Radio di Gaetano Bellafronte”, ma lì i dischi sono relegati in un angolo, tra radio, televisori, rasoi elettrici e soprattutto strumenti musicali. L’azienda ha compreso che si è aperta una nuova era ed ha sostituito fisarmoniche e clarinetti con chitarre elettriche, amplificatori, batterie e addirittura qualche impianto-voci Davoli, sogno proibito dei tanti aspiranti musicisti che vanno formando i nuovi complessini beat in città.

La mia ricerca potrebbe proseguire in un negozietto della galleria di Via Del Balzo, in un altro a via Piave, da De Benedictis e da qualche altra parte … All’epoca il 45 era un compagno di vita, un veicolo di emozioni, sensazioni, messaggi; si regalava alle fidanzatine, costituiva un ottimo lasciapassare per imbucarsi non invitati ad una festa privata, insieme alla rosa per la padrona di casa. Si sentivano dovunque: nei Juke box dei bar, alle gite scolastiche con i “Mangiadischi”, in automobile, dove spesso si deformavano a causa del calore e dell’esposizione ai raggi solari, si portavano ai pic-nic e si ascoltavano con fonovaligie a pile. Milioni sono andati perduti, altri sono sopravvissuti e suonano ancora bene, se conservati con cura, come quello che alla fine acquistai quel giorno, alla Standa. Il lato A, “Fila la lana”, gratificava gli aneliti culturali alternativi che cominciavano a farsi strada in me, ma in verità fu il lato B a consumarsi presto sotto la precaria puntina del mio giradischi. Si intitolava “Per i tuoi larghi occhi”, guarda caso una canzone d’amore, non dimentichiamo che era il 14 febbraio.

Dimenticavo … l’interprete dei brani era un originale cantautore emergente, si faceva chiamare Fabrizio.



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